domingo, 23 de febrero de 2014

VII Domingo del tiempo Ordinario: "Todo es de ustedes"

Iglesia San Domenico, Nicastro

Homilía en las Misas en Calabria:
Parroquia de Miglierina, con el párroco Don Pasquale
Parroquia de San Giovanni Battista, Melicuccà, párroco Don Paolo
Parroquia de San Domenico, Nicastro, párroco Don Antonio, Diácono Alfredo.


“Tutto è vostro! Ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio.” (1 Co 3,22-23)
“Tutto è vostro”… ma, in che senso? Possiamo pensare alle parole di Gesù al momento dell'invio dei discepoli: “A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra” (Mt 28,18).
Cristo ha ricevuto tutto. Ha ricevuto ogni potere. Ma non come un potere di imporre, di opprimere, di schiacciare, ma come un potere di generare la vita. Così dice il Buon Pastore: “io sono venuto perché [le mie pecore] abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza” (Gv 10,10).
Cristo, che ha ricevutto ogni potere, invia i suoi discepoli, e dice loro: “Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato.” (cf Mt 28,18-20)
“Fate discepoli tutti i popoli”: tutto è vostro !

Fratelli, sorelle : Tutto è nostro.
I fratelli e le sorelle della comunità sono i nostri cari. Allora, tutta la comunità ha la responsabilità di prendersi cura dei suoi membri. Prendersi cura uno dell’altro. Consideriamo le parole di Papa Francesco all’inizio del suo ministero petrino. Il Papa ci parla di San Giuseppe, uomo di Dio, che “si lascia guidare dalla sua volontà, e proprio per questo è ancora più sensibile alle persone che gli sono affidate, sa leggere con realismo gli avvenimenti, è attento a ciò che lo circonda, e sa prendere le decisioni più sagge” (13.03.2013).
Tutti i membri della comunitá, non solo il sacerdote, siamo chiamati a “custodire gli altri”. Siamo chiamati ad accompagnarci a vicenda nel cammino della fede, nella vita fraterna, nella preghiera comune, nella celebrazione dei sacramenti. Siamo chiamati a stare accanto a chi soffre, a chi è nelle tenebre, nel dolore, nella sofferenza per la perdita dei propri cari. Pregare gli uni per gli altri.
Tutto è nostro! Anche quelli che sono lontani, quelli che sono alla periferia della nostra vita o della nostra comunità. A loro siamo mandati dal Signore: “Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli”. La missione inizia dalla nostra casa e va verso i lontani. Riprendo le parole del Cardinale Bergoglio durante il concistoro che si è tenuto prima della sua elezione a Papa: “La Chiesa è chiamata a uscire fuori da se stessa e ad andare verso le periferie, non solo geografiche, ma anche esistenziali: quelle del mistero del peccato, quelle del dolore, dell'ingiustizia, dell'ignoranza e dell'omissione religiosa, del pensiero, di ogni miseria.”
“La Chiesa è chiamata”… La Chiesa: la comunità, tutto il popolo di Dio, ogni diocesi, ogni comunità parrochiale, ogni gruppo è chiamato a uscire da se stesso. Alcuni potranno arrivare più lontano, altri andrano più vicino. Però tutti siamo chiamati alla missione.
Tutto è nostro: anche i nemici, quelli che sono indifferenti verso la fede, quelli che si opongono, e quelli che perseguitano i fedeli. Questa è la parola forte del Vangelo di oggi: “amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano” (Mt 5,44-46). E se non crediamo che questa parola possa essere efficace, ascoltiamo la testimonianza di San Paolo: “io ritenni mio dovere compiere molte cose ostili contro il nome di Gesù il Nazareno […] In tutte le sinagoghe cercavo spesso di costringere [i cristiani] con le torture a bestemmiare e, nel colmo del mio furore contro di loro, davo loro la caccia perfino nelle città straniere” (cf. At 26,9-11).
È lo stesso San Paolo che il Signore inviò dicendogli: “Ti libererò dal popolo e dalle nazioni a cui ti mando per aprire i loro occhi, perché si convertano dalle tenebre alla luce” (At 26,17-18).
Tutto è nostro! Ce un altro gruppo di persone alle quali si rivolge la missione: i feriti che incontriamo sulla strada della nostra vita. Come è successo al buon samaritano: “un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite…” (Lc 10,33-34). Il Papa Francesco ci ha parlato della Chiesa come un “Ospedale da campo”: “Io vedo che la cosa di cui la Chiesa ha più bisogno oggi è la capacità di curare le ferite e di riscaldare il cuore dei fedeli, la vicinanza, la prossimità. Io vedo la Chiesa come un ospedale da campo dopo una battaglia.” (La Civiltà Cattolica, N°3918 del 19/09/2013).
Come possiamo curare i feriti? Una volta, quando ero parroco, stavamo preparando una missione popolare. Volevamo andare a due a due in ogni casa della parrocchia. Una Suora che ci preparava a queste visite, ci disse: “è possibile che incontriate persone che sono molto arrabbiate o molto ferite. Arrabbiate con la Chiesa, con il sacerdote, o con Dio... Lasciatele parlare. Ascoltatele con serenità. Lasciatele sfogare... è possibile che dopo vi ascoltino. Però se voi prima non ascoltate con pazienza, se non lasciate che il loro dolore si manifesti, non ci sarà nè dialogo nè incontro.”
Siamo di Cristo. Questo significa “Essere figli del Padre nostro che è nei cieli.”
E significa anche essere discepoli missionari. Non solo discepoli che ascoltano la Parola, piuttosto discepoli missionari che la mettono in pratica. Perché, come dice San Giacomo, “se uno ascolta la Parola e non la mette in pratica, costui somiglia a un uomo che guarda il proprio volto allo specchio: appena si è guardato, se ne va, e subito dimentica come era” (Gc 1,23-24). Questa persona dimentica la propria identità.
Perche questa è l’identità del cristiano: essere discepolo missionario. Discepolo che ascolta la Parola di Dio, la riceve nel suo cuore; missionario che mette in pratica la Parola in modo che dia frutto.
“Cristo è di Dio”. Egli è venuto per fare la volontà del Padre. La volontà del Padre è che tutti gli uomini si salvino. Per questo è venuto Gesù Cristo: “Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui” (Gv 3,17). E tutti noi siamo chiamati a collaborare attivamente all’opera di salvezza. Così sia.

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